recensione rain

Piove. Le strade si colmano di pozzanghere. Acqua sporca e acqua pulita si fondono e si confondono sotto la luce dei lampioni accesi. Una città fantasma si popola dei suoi spiriti: buoni e fragili, da una parte; cattivi e oscuri, dall’altra. Un bambino cammina nel buio e nella luce e solo la pioggia rivela la sua presenza. In sottofondo, “Claire de lune“, di Claude Debussy. E poi tante altre musiche classiche. Nessuna voce a spezzare il ritmo. Solo parole in sovrimpressione, didascalie che vestono l’abito dell’acqua. Si sente solo uno scroscio ininterrotto e incostante di pioggia. Piove, piove tanto, e non poteva essere altrimenti in questo videogioco a metà tra un puzzle game e uno stealth dal titolo emblematico: “Rain“. Suggestivo, malinconico, affascinante, accattivante in ogni suo singolo particolare: alla sua prima presentazione, Rain (disponibile per PlayStation 3) fece molto scalpore, aumentando la curiosità dei videogiocatori e dei critici del settore. Giocandoci, per un verso resta un po’ d’amaro in bocca, per l’altro abbiamo percepito il cuore stretto in una morsa, come quando si volta l’ultima pagina di un libro che abbiamo particolarmente amato. Analizziamo il perché in questa breve recensione.

Recensione Rain: quando la narrativa supera l’azione

Cominciamo subito con il precisare che Rain, sviluppato da Acquire e Japan Studio, non è un videogioco per tutti. Non lo è senz’altro per chi cerca un gioco di particolare impatto sotto l’aspetto dell’azione, non lo è per chi detesta le atmosfere di un mondo virtuale di cui vorrebbe essere padrone, non lo è per chi mal sopporta la componente narrativa in un videogioco. Questo perché Rain si gioca in sole 3 ore: 8 sono i capitoli da portare a conclusione e non ci sono grandissimi ostacoli da superare per arrivare alla fine dell’avventura. Rain si basa sostanzialmente sull’aspetto narrativo, e questo lo rivela anche il bonus che ci hanno regalato una volta finito il gioco, avendo la possibilità di ripercorrere quelle strade che abbiamo amato e odiato di quella stessa città fantasma, raggiungere i vicoli ciechi che prima ci hanno fatto perdere il senno e guardare i cosiddetti Ricordi, dove scopriremo molti particolari sulle vite dei protagonisti.

Ancora narrativa, per l’appunto, ma una narrativa di alto livello: il gameplay di Rain risulta estremamente affascinante solamente se siamo ben consapevoli che stiamo per mandare avanti una storia già scritta. E, ovviamente, se ci facciamo assorbire dalle atmosfere fragili e malinconiche che permeano tutto il videogioco e che funzionano alla perfezione.

Gli enigmi da risolvere non sono impossibili e gli Oscuri (i nemici), seppur qualche brivido iniziale, impariamo ben presto a conoscerli. A noi resterà solo il compito di andare avanti, salvare la bambina con cui abbiamo parlato nel prologo e tornare nella realtà che abbiamo abbandonato. Una missione tutto sommato semplice da portare a termine, come si scopre giocando. Ma non per questo meno bella.

Rain è un bellissimo videogioco, ma solo se si accetta la sua natura ibrida. Il mio consiglio, dunque, può essere uno solo: giocate a luce spenta e fatevi avvolgere.