copiare esami

Copiare all’esame di maturità è eticamente e istituzionalmente scorretto. Di norma il candidato che cerca di cavarsela con “aiutini” non contemplati dal regolamento rischia l’espulsione per condotta fraudolenta o l’invalidazione della prova, proprio come succede nei pubblici concorsi. In teoria, chi si fa “beccare” mentre consulta i classici bigliettini o lo smartphone potrebbe essere soggetto alla bocciatura diretta o mediata. Queste almeno sono le regole, ma nella pratica la situazione è più flessibile e c’è anche una sentenza del Consiglio di Stato che, qualche anno fa, ha accolto un ricorso, già respinto dal Tar, di una maturanda che ha copiato alla maturità. Sorpresa ad usare il suo iPhone dai professori, la giovane era stata inizialmente allontanata e bocciata. Dopo una lunga battaglia legale la ragazza ha però ottenuto il diploma, perché, secondo i giudici, l’esame deve valutare tutto il percorso scolastico dello studente e non può basarsi esclusivamente sulla prova contestuale. In più l’azione del copiare potrebbe essere stata indotta dall’insicurezza e dallo stato psichico di stress a cui è soggetto l’individuo particolarmente ansioso o sotto pressione.

I dati raccolti

Secondo i sondaggi almeno due studenti su cinque riescono a superare l’esame di Stato soltanto grazie ad aiuti poco “legali”. C’è chi si basa sull’amico più preparato, il “secchione” di turno, chi lascia un arsenale di bigliettini e cartuccere in bagno, chi inserisce fogli di appunti nel vocabolario (o chi si fa stampare e impaginare nei volumi pagine fac-simili piene di informazioni utili, temi già svolti e altro) e chi si limita a tatuarsi la mano con dati, date e nomi. Su tutti il metodo più usato e più funzionale è il cellulare collegato a internet. Ma bisogna superare i controlli e usarlo con circospezione. Il problema etico che si intuisce alla base della situazione spinge a sintetizzare il fenomeno così diffuso con l’equiparazione del copiare al frodare. Ma è davvero così? In Italia, soprattutto, chi copia non vive la propria azione con senso di colpa e non si sente inadeguato alla società o al suo ruolo contingente. Anzi, si sente furbo, realizzato e più che tollerato e legittimato da una civiltà che fa altrettanto, sempre e comunque (dal mondo del lavoro a quello artistico, da quello accademico a quello politico). Qualcuno innalza addirittura il copiare a una forma d’arte o a una particolare tecnica da affinare. E quasi quasi è proprio questa la materia che si impara meglio nella scuola italiana. Presidi e professori parlano di tolleranza zero, controlli a tappeto, nuove tecnologie per fermare e smascherare i furbi… Sarà veramente così? Staremo a vedere.