obbligo scolastico

Fino a quanti anni vige l’obbligo scolastico? Sedici? Diciotto? Dipende. Ma non è questo il punto… La crisi attuale impone alla scuola di aumentare o ridurre l’obbligo formativo? Secondo molti, la scuola, lungi dall’essere un’opportunità o un canale d’inserimento nel lavoro, penalizza i ragazzi che vogliono imparare un mestiere, formarsi in bottega e iniziare a guadagnare qualcosa. Per altri, un Paese civile si riconosce dallo stato d’istruzione generale dei suoi cittadini ed è quindi necessario stimolare gli studenti a frequentare nonostante il cattivo rendimento, il disinteresse o l’impossibilità relativa. Il lavoro che latita, insomma, non permette più un atteggiamento di totale rifiuto verso quelle forme di lavoro minorile fino a qualche anno fa stigmatizzate come il male assoluto. Alcune scuole di pensiero propongono invece di cambiare atteggiamento ideologico: lo Stato deve garantire il diritto allo studio per merito e non solo per reddito. Il diritto è un diritto non un obbligo; va conquistato. Cosa vuol dire? Facciamo un esempio. Se un ragazzo non mostra interesse per l’istruzione e, nonostante gli aiuti didattici ed economici, continua a non studiare, ad assentarsi, è giusto aspettare il compimento dei sedici anni per il suo ritiro dalla scuola? L’obbligo non è in questo caso limite? Per questo si parla di meritocrazia. Solo gli studenti meritevoli e interessati vanno aiutati nel conseguimento di un diploma nonostante l’impossibilità individuale o economica di conseguirlo.

La storia dell’obbligo formativo in Italia

Fino agli anni ’80, l’obbligo scolastico valeva in Italia fino al conseguimento della licenzia media o del compimento dei sedici anni d’età. L’obbligo, che prevedeva il conseguimento minimo di un attestato, venne introdotto dal ministro Berlinguer con l’innalzamento da otto a dieci anni dell’obbligo scolastico, al fine di lasciare gli studenti liberi dalla scuola almeno con un diploma di qualifica superiore (biennio o triennio formativo). L’iniziativa fu chiamata “nuovo obbligo formativo” e innalzò di fatto la soglia fino ai diciotto anni. Il ministro Moratti annullò l’obbligo scolastico mantenendo l’obbligo formativo, il che voleva dire poter abbandonare la scuola solamente dopo un biennio superiore o il diploma professionale triennale. Il ministro Germini, poi, di nuovo abbassò la soglia, affiancando l’apprendistato sul lavoro alla licenza media, quindi eliminando l’obbligo di iscrizione alle superiori. Ciò significava poter lasciare la scuola a sedici anni, come negli anni ’70. Il disegno di legge fu molto criticato e giudicato immorale e fu a lungo discusso in Senato. Il Ministro Profumo dell’ex governo Monti si spese parecchio, infatti, per rinnalzare l’obbligo scolastico fino ai diciotto anni.

L’argomento è delicato, ha a che fare con il campo del diritto e con quello dell’etica. Certo, la crisi preoccupa le famiglie e trasforma i bisogni… Ma è davvero giusto penalizzare la cultura in nome del lavoro minorile o del risparmio statale? Lavoro e scuola sono scelte che si escludono a vicenda? Grava tanto nella vita di un individuo e nell’economia dello Stato provare a insistere due anni in più sul futuro di una mente? La scuola ci insegna a pensare, a confrontarci… Le crisi invece passano e si sconfiggono… L’analfabetismo è invece un male che depotenzia la vita, impoverisce il Paese, avvilisce il futuro.