L’ex Ministro dell’istruzione Francesco Profumo aveva le idee chiare e i suoi progetti di riforma e intervento sulla scuola non sembravano voler essere una parentesi o un mero ponte tra ciò che è stato e ciò che sarebbe dovuto essere dopo il governo tecnico. Lo ripeteva spesso e l’ultima volta lo ha fatto il 3 ottobre 2012: per risolvere i problemi italiani della crisi e della disoccupazione bisogna investire e intervenire sulla scuola professionale. Andando al nocciolo del problema e argomentando con semplicità e buon senso, l’ex Ministro aveva infatti affermato che “Il nostro obiettivo è creare un ponte tra scuola e mondo del lavoro. Scuola, università e ricerca. Siamo un Paese manifatturiero e abbiamo bisogno di studi che seguano un percorso tecnico-professionale. Il lavoro è il bene più grande e deve sempre essere valorizzato. Esiste una domanda per alcuni lavori che è stata trascurata negli ultimi anni”.
Superare i pregiudizi
Il poche parole bisogna rendersi conto che l’università non riesce più a garantire un futuro. Bisogna quindi investire sulle scuole professionali. Lì c’è offerta, continua. Artigiani, periti, tecnici, operatori. Appena diplomati trovano lavoro. Questi sono i fatti. A questo punto è necessario cambiare non solo strategia ma pure mentalità. Gli istituti tecnici sono ancora visti come scuole di serie B da molti italiani, quando da tempo offrono non solo sbocchi professionali e opportunità maggiori rispetto ai licei, ma garantendo pure buona qualità formativa generale. Materie come italiano, storia, matematica e geometria sono studiate e insegnate con metodo e programmi di tutto rispetto.
Il mondo del lavoro chiede professionisti dotati di manualità e tecnica. Specie in Italia, dove le aziende produttive sono piccole e votate ancora principalmente all’artigianato o all’accoglienza turistica.
Non c’è dubbio che l’ex Ministro Profumo ha cercato di dare un segnale forte in questo senso. Rivalutando le scuole professionali e il loro percorso formativo, da anni all’avanguardia e in grado di fornire allo studente tutti gli strumenti opportuni sia per lavorare che per proseguire gli studi all’università.
Bisogna privilegiare la pratica, studiare la teoria ma senza restare ancorati a programmi vecchi e didascalici poveri di applicazioni concrete. Per fare questo c’è bisogno, prima di tutto, di professori nuovi, più flessibili e in grado di dialogare con le nuove tecnologie. Bisogna andare incontro alle nuove necessità della crisi e del mondo del lavoro, sviluppando attitudini inedite, puntando sull’esperienza. Chi insegna deve essere un professionista che conosce il lavoro e le dinamiche pratiche cui è volto il programma didattico. Esperienza sul campo, testimonianze e collegamento con le aziende. Questi i punti chiave.