Continua a crescere l’età media dei professori nelle università. Un dato forse che ci si poteva aspettare ma che segna il profilo di docenti e professori sempre più avanti con l’età, che non lasciano spazio a docenti più giovani.
Non si sa bene il perché, o meglio non si vuole capire il motivo. I giovani in Italia, in diversi settori, sembrano essere letteralmente schiacciati da due forze che spingono in senso opposto. Da una parte la voglia ed il bisogno di crearsi una posizione, una indipendenza ed una stabilità lavorativa, e dall’altra il continuo rifiuto da parte della società, che li costringe ad accettare i contratti più improbabili, ed a rimanere come funamboli appesi al filo della speranza di un posto di lavoro degno di essere chiamato con questo nome.
Sembra un esempio esagerato forse, ma rispecchia a pieno quello che molti giovani, professionali e laureati, stanno vivendo in Italia. Sembra che per questi non ci sia più spazio, e sembra che il ricambio generazionale non funzioni più. I motivi di questo annoso problema possono essere trovati in diversi fattori. Leggi che ostacolano il ricambio generazionale, “baroni” che non vogliono lasciare la loro posizione di potere, e anche una burocrazia che è snervante, e che porta ad essere troppo lunga la trafila per guadagnarsi un buon posto di lavoro.
I numeri
Nelle nostre università “naturalmente”, vi è un esempio lampante di questo, e a quanto pare non sembra essere solo un opinione personale di alcuni ragazzi “poco volenterosi”. Su un articolo della Repubblica, in chiare cifre, viene scritto quello che è successo nelle cattedre universitarie in trent’anni. Dal 1983 al 2014, i professori ordinari hanno avuto la cattedra ad un’età media superiore di ben 7-8 anni.
Le cifre ribadiscono più in generale l’affidamento di queste cattedre a professori vicini al pensionamento, e mettono il punto sul fatto che questo trend ha contribuito a creare una classe di docenti svogliata, e non stimolata ad una crescita professionale, sia loro che dei loro alunni. Nei dati riportati viene anche segnalato come i professori ordinari abbiano subito un impennata nell’età, ma non solo, anche e sopratutto i ricercatori, coloro che dovrebbero essere l’esempio del rinnovamento per antonomasia.
Quest’ultimi, dal 1983 ad oggi, son potuti divenire ricercatori a tempo indeterminato con una differenza di età di 10 anni tondi. Da una giovane e congrua età di 35 anni necessaria nel 1983, oggi lo stesso ricercatore un posto fisso lo guadagna solo a 45 anni, età semplicemente inconcepibile per un posto tra i più “maltrattati” nelle università. Alla luce di questi dati, bisogna con urgenza cercare di colmare questo gap, che negli anni sta diventando troppo significativo, e che rischia di vedere una generazione di ricercatori e professori troppo anziana.